Acqua all'arsenico, tempo scaduto: rubinetti chiusi in 50 comuni del Lazio
Tutto tace.
È di fronte a questi numeri che la Litta denuncia l’inerzia delle amministrazioni locali: “La situazione è sconfortante: a parte qualche soluzione tampone come le fontanelle non mi risulta che nella provincia di Viterbo sia stato fatto granché. I valori imposti dalla legge sono ormai disattesi da 10 anni e prima della norma le concentrazioni erano intorno ai 50 microgrammi, dunque è chiaro che per certe popolazioni l’esposizione all’arsenico nelle acque non è stata occasionale, ma prolungata e cronica e dunque altamente rischiosa”..
APPROFONDIMENTI
Arsenico nell’acqua, ecco i comuni inadempienti
Il Salvagente, nel numero in edicola da giovedì 1 novembre, rilancia l’allarme arsenico con un’inchiesta che dimostra come in molti comuni del Lazio la situazione non sia affatto migliorata, quando mancano due mesi dal termine dell’ennesima deroga concessa dall’Unione Europea. Questo, per esempio, l’elenco dei comuni con valori superiori ai limiti di legge (10 microgrammi/litro), stilati dal settimanale dei consumatori.
Provincia di Viterbo. Bagnoregio, Blera, Bolsena, Calcata, Canino, Capodimonte, Capranica, Caprarola, Carbognano, Castel Sant’Elia, Castiglione in Teverina, Celleno, Civita Castellana, Civitella d’Agliano, Corchiano, Fabrica di Roma, Farnese, Gallese, Gradoli, Grotte di Castro, Lubrian, Montalto di Castro, Monte Romano, Montefiascone, Ronciglione, San Lorenzo Nuovo, Soriano nel Cimino, Sutri, Tarquinia, Tuscania, Vallerano, Vetralla, Vignanello, Villa San Giovanni in Tuscia, Viterbo.
Provincia di Roma. Anguillara Sabazia, Anzio, Ardea, Bracciano, Campagnano di Roma, Civitavecchia, Formello, Genzano di Roma, Lanuvio, Lariano, Magliano Romano, Mazzano Romano, Nettuno, Sacrofano, Santa Marinella, Tolfa, Trevignano, Velletri.
Provincia di Latina. Aprilia, Cisterna di Latina, Cori.
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Anticipazione da IL SALVAGENTE del 1° novembre 2012
Due anni di emergenza non sono bastati. La terza e ultima deroga
concessa a molti comuni del Lazio dall'Unione Europea scade il 31 dicembre. Dal
nuovo anno i cittadini non potranno più bere l'acqua di rubinetto con valori di
arsenico (un cancerogeno) oltre la norma. Dovranno rifornirsi con autobotti o
fontanelle filtrate.
Quando si dice un’azione pubblica tempestiva e
previdente: a nove anni dall’entrata in vigore della legge (del 2001 ma
operativa dal 2003) e a due anni dall’ultimatum lanciato dall’Unione europea
(era l’ottobre 2010) l’emergenza arsenico in Italia è tutt’altro che superata.
È quello che denuncia il settimanale il Salvagente nel numero in edicola da giovedì 1
novembre, con un’inchiesta dal titolo: “Acqua e Arsenico,
crisi senza fine”. E che si sia lontani dalla soluzione, secondo il settimanale
dei consumatori, è innegabile almeno in quei comuni, tutti laziali, in cui il
livello di questo metallo nell’acqua resta superiore a 10 microgrammi litro, la
soglia massima consentita dalla legge e considerata “sicura”.
Count-down scaduto. E a questo punto di tempo non
ce n’è davvero più. Il 31 dicembre scade la terza e ultima deroga (per valori
fino a 20 microgrammi) concessa dalla Commissione europea, dopodiché non
ci saranno più scuse né scappatoie: le acque che sforano dovranno essere
dichiarate non potabili e alle popolazioni interessate non
resterà che rifornirsi dalle autobotti o dalla fontanelle dotate di impianto di
dearsenificazione. Niente di nuovo, purtroppo. Autobotti e
fontanelle sono già una realtà per i cittadini di quei comuni che, due anni fa,
quando Bruxelles ha detto no a deroghe superiori ai 20 microgrammi/litro, si
sono trovati improvvisamente “fuori legge” e che in 24 mesi non sono riusciti a
mettersi in regola. Probabilmente ci riusciranno entro fine anno, quando
entreranno in funzione gli impianti di dearsenificazione. A quel punto però,
come fosse una triste staffetta, scatterà l’emergenza per tutti quelli finora
“salvati” dalla deroga.
I danni alla salute.
Leggi e deroghe a parte, resta
il problema della sicurezza.
Che effetto ha e ha avuto sulla salute
l’esposizione prolungata a valori elevati di arsenico, un metallo
pericoloso classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro
come cancerogeno di classe 1 (ossia
certo per l’uomo)? A denunciare da anni i rischi derivanti dall’esposizione a
un tale veleno è Antonella Litta, referente per Viterbo dell’Associazione
italiana medici per l’ambiente, per niente rassicurata dalle deroghe e dalle
politiche adottate fino ad ora: “Ricordo che non esiste una soglia di sicurezza
per l’arsenico. La cosa migliore sarebbe non entrarci mai in contatto. Non a
caso l’Organizzazione mondiale della sanità indica come obiettivo un valore
compreso tra 0 e 5 microgrammi. Dunque non c’è da stare tranquilli neanche in
presenza di limiti accettati dall’Unione europea”.
A confermare i timori della Litta adesso c’è uno
studio scientifico, la prima indagine epidemiologica
condotta sulla popolazione dei 91 comuni
laziali (60 della provincia di Viterbo, 22 della provincia di Roma e 9 della
provincia di Latina) dove maggiore è stata l’esposizione all’arsenico. A
realizzarlo, il dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario della
Regione Lazio su committenza dell’assessorato all’Ambiente della Pisana.
Commenta la Litta al Salvagente: “La ricerca mette finalmente nero su bianco
quello che denunciamo da anni, ossia che l’arsenico è legato a un aumento delle
morti e delle malattie correlate”.
Si tratta di alcune patologie tumorali come il tumore al polmone, alla cute e alla vescica negli uomini, patologie cardiovascolari come l’ipertensione arteriosa, l’infarto del miocardio, l’ictus e malattie come il diabete mellito. Ed ecco cosa si legge nel rapporto: “Nei comuni del viterbese con livelli di esposizione oltre i 20 microgrammi si osserva un eccesso di mortalità, pari al 10%, per tutte le cause e per le malattie del sistema circolatorio (+10%). Nei comuni di Latina si osserva un eccesso significativo, pari al 12%, della mortalità per tumori”. Situazione meno problematica nei comuni romani dove “la mortalità e i casi di tumori sono pari o inferiori all’atteso”.
Si tratta di alcune patologie tumorali come il tumore al polmone, alla cute e alla vescica negli uomini, patologie cardiovascolari come l’ipertensione arteriosa, l’infarto del miocardio, l’ictus e malattie come il diabete mellito. Ed ecco cosa si legge nel rapporto: “Nei comuni del viterbese con livelli di esposizione oltre i 20 microgrammi si osserva un eccesso di mortalità, pari al 10%, per tutte le cause e per le malattie del sistema circolatorio (+10%). Nei comuni di Latina si osserva un eccesso significativo, pari al 12%, della mortalità per tumori”. Situazione meno problematica nei comuni romani dove “la mortalità e i casi di tumori sono pari o inferiori all’atteso”.
Tutto tace.
È di fronte a questi numeri che la Litta denuncia l’inerzia delle amministrazioni locali: “La situazione è sconfortante: a parte qualche soluzione tampone come le fontanelle non mi risulta che nella provincia di Viterbo sia stato fatto granché. I valori imposti dalla legge sono ormai disattesi da 10 anni e prima della norma le concentrazioni erano intorno ai 50 microgrammi, dunque è chiaro che per certe popolazioni l’esposizione all’arsenico nelle acque non è stata occasionale, ma prolungata e cronica e dunque altamente rischiosa”..
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