Da "Il corriere della Sera" del 16 dicembre 2010
Accolto il ricorso del «No Inc» e di 8 sindaci dei Castelli Romani: cancellati permessi firmati da ex governatore
ROMA - Un’autorizzazione arrivata dalla giunta Marrazzo fuori tempo massimo. E con carenti istruttorie sulla qualità dell’aria e sull’uso dell’acqua. L’ inceneritore di Albano è stato bocciato anche dal Tar del Lazio, dopo che la Asl dei Castelli romani aveva espresso pesanti perplessità riguardo il progetto che metterebbe a rischio le falde. Il Tribunale amministrativo ha accolto il ricorso presentato dal coordinamento « No inc» e da 8 sindaci, quelli di Castel Gandolfo, Lanuvio, Ariccia, Ardea, Albano, Genzano, Rocca di Papa e Pomezia. Il Tar ha cancellato, in sostanza, i due permessi firmati dalla giunta Marrazzo che concedevano il «semaforo verde» alla realizzazione dell’impianto destinato alla produzione di energia elettrica bruciando il cdr - rifiuti raccolti tramite la differenziata – proveniente dai cassonetti di Roma e Fiumicino.
AUTORIZZAZIONE «INCOMPRENSIBILE» - Pesantissimi, i rilievi dei giudici. In sintesi: la Regione ha «autorizzato l’avvio dei lavori di cantierizzazione in una data, nell’ottobre 2008, – si legge nella sentenza - in cui però erano ormai scaduti i poteri straordinari in materia ambientale attribuiti al Presidente della Regione». Insomma non si poteva firmare la fondamentale valutazione di impatto ambientale , arrivata tortuosamente in extremis una seconda volta, per superare le perplessità di un primo documento analogo che aveva invece bocciato il progetto. Addirittura, i giudici scrivono di «non comprendere su quali basi normative il Presidente della Regione Lazio abbia ritenuto di rilasciare siffatta, atipica, autorizzazione provvisoria».
CARENZE SU STUDIO ARIA E ACQUA - Dal confronto tra la prima «Via» che boccia l’ inceneritore e la seconda «fuorilegge» che secondo la Regione lo promuove emergono, secondo i giudici, le «carenze» nel monitoraggio sulla qualità dell’ aria. Inoltre la società chiamata a costruire l’impianto – il consorzio Coema, di cui fanno parte Ama, Acea e il re delle discariche laziali Cerroni - «non spiega le modalità con cui realizza l’abbattimento delle polveri totali e degli ossidi di azoto». Manca, infine, «l’analisi tecnico – scientifica del progetto in rapporto all’utilizzo della risorsa idrica».
IMPOVERIMENTO DELLE FALDE – Le perplessità dei magistrati amministrativi nascono da quanto espresso in una relazione del Dipartimento di prevenzione della Asl dei Castelli, preoccupato perché l’abbondante uso di acqua da parte dell’inceneritore, oltre a depauperare le falde già indebolite potrebbe aumentare la concentrazione di arsenico, il problema che in questi sta esplodendo in tutto il Lazio con le conseguenti ordinanze di chiusura dei rubinetti.
ALEMANNO: FAREMO RICORSO - Ad annunciare l’esito della sentenza del Tar è stato mercoledì 15 dicembre il sindaco di Roma Alemanno , che ha annunciato « il ricorso al Consiglio di Stato» anche se il pronunciamento «indebolisce fortemente la soluzione Albano e rilancia il problema di progettare e individuare nuovi impianti». Il sindaco ha poi chiarito le possibili soluzioni alternative: «Le aree individuate non dovranno essere necessariamente due ma anche una sola con impianti di maggiore potenzialità». E ha concluso infine sulla priorità per Roma: «Il problema più immediato è l'alternativa a Malagrotta».
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